Onorevoli Colleghi! - Il nostro sistema previdenziale ha sempre previsto un trattamento coerentemente e legittimamente differenziato tra uomo e donna. Infatti, anche a fronte di una aspettativa di vita più lunga per la popolazione di sesso femminile, le donne hanno sempre goduto di un'età pensionabile più bassa. Tale previsione è dovuta al fatto che lo Stato deve giustamente sostenere la generalità dei ruoli di cui la donna nella nostra società si fa carico: madre e lavoratrice, senza trascurare i gravosi compiti sostenuti all'interno dell'attività domestica. È assolutamente necessario considerare il gravame che il ruolo svolto dalla donna comporta.
      Pertanto, è nostra convinzione che la «forbice» relativa all'età pensionabile debba permanere, ma che debba essere differentemente equilibrata non solo per il sempre più ampio e marcato inserimento della donna nel mondo del lavoro, ma anche per le difficoltà sempre più pesanti che accompagnano la donna in particolare, e le famiglie più in generale, nella decisione di mettere al mondo un figlio.
      Crediamo quindi che il fondamentale ruolo della donna nella nostra società meriti un aiuto più sostanzioso in un'altra fascia di età, che non è quella, già favorita dalla legislazione vigente, intorno ai sessanta anni di età, ma il periodo della maternità.

 

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      Inoltre, vi è da considerare che siamo oramai di fronte a un cambiamento epocale, che negli ultimi anni ha assunto sempre di più una chiara fisionomia, ossia una modifica sostanziale nella composizione della popolazione italiana.
      Grazie, infatti, all'esistenza di livelli di benessere oggi sostanzialmente diffusi, e che abbiamo il dovere di continuare a salvaguardare, alle conquiste ottenute per l'affermazione di un sistema di welfare competitivo e soddisfacente, all'aumento dell'istruzione media e delle campagne di prevenzione e, soprattutto, grazie ai continui progressi scientifici in campo medico, oggi l'aspettativa di vita della popolazione italiana è, rispetto al recente passato, decisamente e rapidamente aumentata.
      In questo senso l'Italia si muove in linea con gli altri Paesi europei e, più in generale, con i Paesi industrializzati, nei quali, negli ultimi anni, si è registrato un trend costante nell'aumento dell'aspettativa di vita.
      Contemporaneamente i Paesi industrializzati, specie quelli occidentali, e quelli europei in particolare, stanno registrando un calo evidente delle nascite, più o meno marcato, a seconda delle diverse realtà nazionali, ma comunque considerevole.
      In questo quadro l'Italia è uno dei Paesi che mostra delle tendenze più accentuate verso la cosiddetta «nascita zero». È un dato allarmante che ci pone di fronte a difficoltà di breve ma anche di lungo periodo.
      Il calo delle nascite, incrociato con l'aumento delle aspettative di vita e dunque con l'innalzamento dell'età della popolazione italiana, crea una nuova realtà particolarmente complessa da governare. Sono sempre meno i cittadini in età lavorativa e sempre di più quelli in età da pensione. Questa tendenza è destinata inevitabilmente ad aumentare nei prossimi anni.
      Si deve, inoltre, considerare che il mercato del lavoro italiano, sulla scia di un processo sempre più veloce di globalizzazione, in questi anni ha subìto profondi cambiamenti, tali da trasformarlo completamente. Alla partizione classica tra lavoro autonomo e lavoro dipendente si è aggiunta, sovrapponendosi sempre più marcatamente, tutta una serie di nuove tipologie contrattuali finalizzate a una maggiore flessibilità del lavoro. Questa trasformazione sta provocando effetti notevoli sia sul livello retributivo che su quello contributivo e previdenziale per tutte le giovani generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Vi è inoltre da considerare che nel breve periodo l'attivazione di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro è spesso avvertita dal singolo lavoratore come una forte precarizzazione della propria attività lavorativa.
      Ci troviamo, dunque, di fronte a una situazione nei suoi contorni evidentemente chiara: da una parte meno giovani lavoratori, per giunta più flessibili o precari che dir si voglia, dall'altra, invece, sempre più pensionati, che oggi, però, possono essere definiti «giovani pensionati».
      I progressi scientifici, infatti, quelli medici in particolare, ma più in generale il miglioramento delle condizioni di vita, non solo hanno prolungato le aspettative di vita ma, parimenti, hanno reso l'esistenza decisamente più vivibile e attiva.
      Fasce di età come quella tra i sessanta e i settanta anni, che fino a qualche tempo fa potevano essere definite «vecchie», oggi presentano ben altre caratteristiche, poiché tali soggetti sono e restano attivi, sicuramente in grado di poter continuare la propria attività lavorativa.
      È un'opportunità, quella che i progressi scientifici ci mettono a disposizione, che bisogna valutare attentamente, cercando di sfruttarne le potenzialità piuttosto che subirne gli effetti.
      Rispetto ai cambiamenti che abbiamo di fronte diventa altamente improbabile, e per molti aspetti anche rischioso, pensare di poter fare gravare i costi del mercato del lavoro su una popolazione di lavoratori attivi sempre più ristretta e, per giunta, flessibile o, ancora peggio, precaria.
      Appare socialmente non sostenibile lasciare che all'interno del mercato del lavoro, spesso negli stessi comparti, convivano e operino cittadini con un livello di
 

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tutele e di garanzie elevato e altri con un livello molto meno esteso.
      I costi della previdenza non possono restare sulle spalle di una ristretta minoranza di giovani lavoratori a cui non si può offrire, tra l'altro, lo stesso livello di garanzie e di tutele di chi li ha preceduti nell'attività lavorativa.
      Il legislatore ha il dovere di mantenere alti i livelli di welfare anche per le nuove generazioni, e per farlo è necessario saper adattare il nostro sistema di garanzie e di tutele ai mutati bisogni ed esigenze della popolazione.
      In particolare, sappiamo bene come oggi il ruolo della donna sia sempre più importante per la società contemporanea e come la sua attività si sia evoluta e modificata nel tempo. La donna non è più destinata esclusivamente a ricoprire un ruolo domestico; è invece, sempre più, protagonista del mercato del lavoro. Negli ultimi trent'anni le donne hanno conquistato meritevolmente sempre più autonomia e spazi nel mondo del lavoro, hanno una formazione sempre più competitiva e partecipano a pieno diritto allo sviluppo del mercato del lavoro: il loro è un contributo fondamentale e, insieme, una conquista sociale e una dimostrazione della civiltà del nostro Paese.
      Il contributo delle donne nelle professioni e nel mondo del lavoro non è però solo una conquista sociale, ma è anche una variabile determinante per la competitività dell'intero «sistema Italia». Inoltre, come se non bastasse, bisogna tenere presente, senza mai dimenticarlo, che senza il contributo lavorativo delle donne molte famiglie italiane, soprattutto nelle grandi città, non potrebbero sostenere il costante aumento dei costi della vita quotidiana e che l'economia di intere famiglie, senza il lavoro delle donne, sarebbe messa decisamente in crisi.
      Appare dunque fondamentale sostenere gli sforzi delle donne italiane ed è, pertanto, inaccettabile metterle di fronte a una scelta drammatica come quella di dover optare tra l'essere madri oppure mantenere la propria attività lavorativa, una scelta che purtroppo sempre più donne sono costrette ad affrontare.
      Il 17 gennaio 2007 l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato i risultati delle seconda edizione dell'indagine campionaria sulle nascite riferita all'anno 2005. I risultati sono, a un tempo, desolanti e preoccupanti. In primo luogo è emerso che oramai nel nostro Paese il modello familiare nettamente prevalente è quello del figlio unico, e che l'età media delle madri è velocemente aumentata fino a raggiungere la soglia dei trent'anni. In secondo luogo, dall'indagine emerge che il motivo principale che impedisce alle donne di avere un secondo figlio è di carattere economico, la paura, cioè, o la certezza, di non potersi permettere di mantenere un secondo figlio.
      Connesso a questo, un altro motivo di impedimento alle nascite è il lavoro: le donne lavoratrici, come rileva la citata indagine dell'ISTAT, denunciano di trovarsi di fronte a una scelta netta tra l'essere madri o continuare a lavorare, Sempre secondo l'indagine dell'ISTAT, ben il 63 per cento delle neo madri che erano inserite nel mercato del lavoro al momento del parto, una volta uscite non sono più riuscite a rientrarvi.
      Bisogna dunque scegliere che strada prendere: costruire un mercato del lavoro caratterizzato dalla presenza di pochi lavoratori giovani, precari e tutti uomini, su cui fare gravare i costi di tutele e di garanzie destinate ad altri e di cui loro certamente non potranno usufruire, oppure costruire un mercato del lavoro più inclusivo nel quale, ad esempio, un cittadino di cinquantasette, sessanta o sessantacinque anni di età, e in particolare una donna, ancora nel pieno della vita, possa continuare a contribuire al benessere suo, dei suoi figli e delle nuove generazioni, favorendo, altresì, con il proprio lavoro, la creazione di una serie di ammortizzatori sociali che consentano alle giovani donne di scegliere con serenità di essere madri senza dover abbandonare la propria attività lavorativa.
      Onorevoli colleghi, lo scopo di questa proposta di legge è proprio quello di
 

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creare una serie di ammortizzatori sociali per le donne, per le giovani madri, per le lavoratrici, per le nuove famiglie italiane e, pertanto, in fondo, per il futuro di tutto il Paese. Continuare a pensare che i cittadini italiani si possano attestare sul livello di tutele e di garanzie appartenente a un'altra epoca significa solo fare della demagogia, oltretutto anche pericolosa perché fatta sulla «pelle della gente».
      Il Paese ha bisogno di riforme e, a quanto sembra, tutti sono pronti a dichiararsi riformisti; pochi però ricordano che le riforme, quelle vere, quelle utili, hanno sempre un costo. Obiettivo della presente proposta di legge è quello di individuare un costo sostenibile, accettabile a fronte della creazione di un necessario sostegno alle giovani donne e alle famiglie del nostro Paese.
      L'intervento è articolato in due differenti direzioni.
      La prima è quella di proporre il finanziamento di una serie di incentivi alla maternità che, come rilevato, risente gravemente della mancanza di un sistema di previdenza sociale che assicuri una protezione per le donne che decidono di mettere al mondo un figlio.
      La seconda, necessaria per consentire la fattibiltà della prima, è quella di proporre l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne a sessantacinque anni, equiparandola sostanzialmente a quella degli uomini.
      In sintesi, al fine di finanziare gli interventi a sostegno della maternità, la proposta di legge prevede un innalzamento dell'età pensionabile coerente con l'allungamento della vita media e della sua qualità e, contemporaneamente, un rafforzamento degli istituti di garanzia e di sostegno della maternità, che attualmente, secondo la nostra opinione ampiamente suffragata dai fatti, sono carenti e assolutamente insufficienti.
      Più specificatamente, con la presente proposta di legge si prevedono la modifica del periodo obbligatorio di congedo per maternità, che dovrebbe passare dai due mesi precedenti e dai tre mesi successivi al parto ai due mesi precedenti e ai cinque mesi successivi, e la riduzione dell'ulteriore periodo facoltativo di congedo per maternità dai sei mesi attuali a quattro mesi.
      Si prevede, inoltre, la concessione alle madri dell'opportunità, al termine di questi due periodi di congedo, l'uno obbligatorio e l'altro facoltativo, di ottenere un reinserimento graduale nell'attività lavorativa attraverso la possibilità di chiedere un part time così articolato: a sei ore giornaliere (e in questo caso il datore di lavoro è obbligato ad acconsentire alla richiesta della donna) oppure a quattro ore giornaliere (e in questo caso il datore di lavoro non ha l'obbligo, ma solo la facoltà di acconsentire alla richiesta della donna). In entrambi i casi, però, i costi sostenuti dal datore di lavoro sono quasi completamente a carico dello Stato e sono finanziati dal risparmio prodotto dall'innalzamento dell'età pensionabile delle donne.
      Proponiamo anche di assimilare l'assunzione della donna che rientra nel mondo del lavoro entro i due anni successivi al parto all'assunzione dei lavoratori in mobilità, affinché il datore di lavoro che assume una donna in tale biennio possa usufruire di tutti gli sgravi fiscali e contributivi di cui usufruisce assumendo un lavoratore in mobilità. L'incentivo non si applica al datore di lavoro che ha licenziato una donna nei dodici mesi precedenti il parto.
      Per ciò che concerne gli asili nido, la proposta di legge prevede due tipologie di intervento.
      Con la prima si propongono sgravi fiscali per i datori di lavoro che prevedono autonomamente la realizzazione di uno specifico servizio di asili nido aziendali. Con la seconda si detta una norma di principio, nel rispetto del riparto di competenze di cui all'articolo 117 della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale in materia, in base alla quale nell'ambito del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, di cui al comma 1259 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e a valere
 

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sulle risorse stanziate ai sensi del comma 1260 del medesimo articolo 1, ogni regione prevede opportuni incentivi affinché gli asili nido situati nel rispettivo territorio garantiscano un servizio che, per quantità di posti e per orario, riesca a consentire alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi cinque anni di vita del bambino.
      Si ritiene, inoltre, necessaria l'istituzione, sul modello tedesco, di una specifica indennità di genitore che sia per le famiglie italiane, e per le donne in particolare, uno strumento concreto, coerente, costante e, per quanto possibile, modulato a seconda della situazione economica di ogni singola famiglia, un riferimento sicuro per affrontare con le dovute serenità e sicurezza la scelta di essere madre.
      Infine, sono previste apposite sanzioni per coloro che, con false dichiarazioni, attestino redditi non corrispondenti al vero, al fine di avere diritto all'indennità di genitore prevista dall'articolo 7.
 

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